ACoFE – Associazione di Counseling Fenomenologico Esistenziale
Durante il primo convegno dell’associazione Acofe, uno dei temi trattati è stato quello dell’abitare la distanza. Nella pratica della nostra professione in particolare, abitare la distanza significa essere in grado di riempire il vuoto che diventa fertile tra due persone, nella relazione. Dalle parole di Pier Aldo Rovatti, per meglio spiegare, possiamo leggere: “la distanza che dovremmo cercare di abitare innanzitutto non è una nostra proprietà, e non è neppure, non solo e non in primo luogo, un vuoto in cui siamo sbalzati o perfino gettati. È invece una distanza da costruire, nel senso che dobbiamo renderla abitabile, difenderla, farne possibilmente uno strumento contro la cecità, la sordità, l’afasia.” (Pier Aldo Rovatti – Abitare la distanza – Raffaello Cortina Editore).
E, come ha sottolineato la Dottoressa Francesca Cantaro, la distanza più difficile da abitare è quella da noi a noi. È dall’attaccamento a noi stessi che dobbiamo partire per fare pratica di dis-attaccamento da noi stessi. Bisognerebbe mettere in pratica “l’apertura della stanza degli ospiti”. L’apertura di questa stanza ci permette di allenarci all’epochè husserliana, dove sospendere ogni sorta di pregiudizio, e dove veniamo messi davanti alle cose stesse che si svelano, si rivelano, diventano fenomeni. È così che io ritrovo il mio “io” in modo autentico. Questo ritrovarsi accade nel tempo fenomenologico, e ci permette di fare luce su noi stessi. Abitare questo luogo, in questo modo, comincia a raccontarci una storia. È dove arriva la pace della sera di memoria lacaniana. In questa pace agisce un’interruzione, il silenzio, un evento improvviso, un viaggio che non è mai troppo breve.
Creare questo vuoto dentro di noi per poterlo riempire si rivela quindi il miglior esercizio per il counsellor, partendo da sé per restituire all’altro: anche questo è un esempio di come poter aiutare il cliente ad aiutarsi.