ACoFE – Associazione di Counseling Fenomenologico Esistenziale
La relazione counsellor – cliente è un contesto d’aiuto e già risolutivo quando si usano le parole intrise di vita che creano il primo con-tatto. Il problema che porta il cliente non aggredisce solo il corpo ma anche l’identità. Nella relazione, come ci spiega la gestalt, l’insieme diventa più della somma delle singole parti: questo significa che la totalità del percepito è caratterizzato non solo dalla somma delle singole attivazioni sensoriali, ma da qualcosa di più che permette di comprendere la forma nella sua totalità. Si crea un valore aggiunto di cui si arricchisce il campo relazionale, un nuovo risultato che ci permette di asserire che uno più uno fa tre. Questo risultato così straordinario è reso possibile dalle competenze comunicative che intervengono nel processo relazionale. Per competenze comunicative non intendiamo semplicemente le capacità linguistiche legate al verbale, ma tutto quello che è strettamente correlato, come la capacità di ascolto empatico, il paraverbale e non verbale. Tramite il dialogo tali competenze danno vita a quel movimento per cui due o più persone si lasciano attraversare dalla parola. Il significato della parola dialogo sta infatti tutto nella sua etimologia: dal latino dialŏgus, in greco antico διάλογος, è composto da dià, “attraverso” e lògos, “discorso”. Parlare è vivere, è un processo di integrazione tra sentire, pensare ed agire.
Parlare è vivere perché può (dovrebbe) essere considerata la massima espressione di se stessi. Parlare offre la possibilità di inventare qualcosa di nuovo, dando spazi al nuovo, a processi di scoperte, al fare esperienza di qualcosa di innovativo. E’ questo l’atto dell’epochè, quando ci si avvicina all’altro sospendendo il giudizio, senza sapere quello che sappiamo, disimparando i concetti pregressi della conoscenza.
Nella relazione, la distanza diventa un vuoto fertile, dove è possibile condividere, dare accoglienza e sentirsi accolti, essere vicini mantenendo la propria individualità, e dove riconoscersi.
Porre attenzione alle parole è importante perché ce ne sono alcune che possono lasciare un segno talmente indelebile da intrappolare le persone nelle cosi dette equivalenze complesse. Le equivalenze complesse sono le relazioni che si cristallizzano tra una parola ed un’esperienza, e di conseguenza orientano i processi di pensiero interni, che vengono tutti orientati in funzione di tale relazione. Capite quanto questo possa essere limitante, specie se si dà per scontato che una parola che ha un determinato significato per una persona possa avere lo stesso significato anche per un’altra. Pensate ad esempio alla parola “rispetto”: può succedere che una persona che rientra a casa dopo il lavoro si immagina che avere rispetto nei suoi confronti significhi essere salutata ed abbracciata, mentre un altro componente della stessa famiglia pensa che avere rispetto nei propri confronti al rientro a casa significhi essere lasciata in pace. A voi le conclusioni….
Possedere abilità comunicative permette di esplorare tutto quello che si trova sotto la punta dell’iceberg. Una efficace competenza comunicativa è in grado di mettere in luce le esperienze che si legano al nome (nel nostro esempio “rispetto”), così da far si che ci siano nuove aperture di comprensione, e di conseguenza di azione.
I nuovi nomi dei nomi così interpretati creano magicamente nuovi effetti, un nuovo sentire che “si tocca con mano”, nuove emozioni alternative. Danno l’opportunità di dipingere nuovi orizzonti ed esplorare nuovi scenari. In una parola “abracadabra”!
Anche la scienza fornisce un eclatante esempio del ruolo significativo che rivestono adeguate competenze comunicative: lo studio FIORE (Functional Imaging of Reinforcement Effects – Di Diodoro, 2019), una ricerca italiana condotta in collaborazione tra la Fondazione Giancarlo Quarta Onlus e l’Università di Udine, mostra, per mezzo della risonanza magnetica funzionale, cosa accade al cervello di una persona quando interagisce con un’altra (nel caso specifico della ricerca erano presi in considerazione i rapporti medico-paziente). A seconda della relazione che si instaura e degli stili comunicativi utilizzati, sono sollecitate alcune aree del cervello (giro temporale superiore sinistro, giro temporale medio superiore, corteccia visiva e corteccia mediale prefrontale) piuttosto che altre. In particolare ci sono parole usate dal terapeuta che si sono rivelate più efficaci di altre perché più rispondenti al bisogno di relazionalità del paziente, comprensione emotiva ed attenzione.
Non a caso il filosofo Zygmunt Bauman sosteneva che “il fallimento di una relazione è il fallimento di una comunicazione”.
Il lettore più curioso può approfondire gli argomenti anche nelle ricerche di Pjotr Garjajew e Vladimir Proponin, tra i tanti che si sono prodigati come pionieri nelle ricerche degli effetti che le parole e i suoni possono produrre nel DNA, gettando le prime basi degli studi dell’epigenetica.